Archivio della Società Storica Varesina - volume secondo 1932-1933

Una zecca nella Provincia di Varese

di Giampaolo Leopoldo

Maccagno è l'unico paese della provincia di Varese che abbia battuto moneta. Veramente, per essere preciso, non fu Maccagno che battè moneta, ma i signori che lo tennero in feudo, che là batterono moneta. Il diritto di battere moneta era una regalia che re e imperatori facevano a ricompensa di servizi ricevuti. Come in altre donazioni, largheggiarono piuttosto anche in questa, a cui non si deve dare l'importanza che le si potrebbe attribuire oggi che tutto si fonda sulla moneta. Importanza aveva sì, ma non tanto economica quanto onorifica, storica. Ottenere tale diritto voleva dire salire agli occhi di tutti fra i più elevati dignitari, ottenere le massime onorificenze. E poichè per lunga pezza tutti gli atti parvero privi di valore se non portanti l'autorizzazione dell'autorità suprema dei popoli, si comprende come per ogni istituzione venisse cercata la valorizzazione imperiale. Comuni che da cattivi figliuoli usurparono facendo le spallucce, diritti e privilegi, corsero qualche anno dopo alla ricerca dei diplomi imperiali che li assicurassero loro. Nè del resto si deve credere che gli imperatori fossero pienamente liberi di usare a loro arbitrio dei loro poteri. Troppo intricate erano le maglie della rete entro cui vivevano; la loro firma il più delle volte non era che una formalità a cui non potevano sottrarsi.
Il battere moneta poi divenne talvolta molto elastico. Città e regioni si estesero abusivamente il diritto che aveva avuto qualche Vescovo o Conte vivente nel luogo. In molti luoghi si battè moneta anteriormente al privilegio imperiale. A Maccagno pure si volle seguire questa irregolarità. Qualche moneta porta la data del 1621, mentre il privilegio dato da Ferdinando II al conte Giacomo Mandello, è del 16 Luglio 1622. Dice il diploma:

« ... officinam monetariam fabbricandi et extruendii eudendique sive cudi faciendi monciam auream argenteam et aeram cuiuscumque generis et valoris, armorum suorum insigniis et cognominis inscriptione signatam ... ».

Non è difficile a stabilirsi perchè il Mandello riuscì ad avere questo privilegio. Già da circa 600 anni i Mandelli possedevano con vari diritti Maccagno che era terra imperiale per volere di Ottone I.
(Terra per sè non riconoscente principe alcuno salvo il Sacro Imperio ...) (da documenti antichi) (vedi in questo stesso libro il capitolo Questioni medioevali di un feudo imperiale). Era del resto la loro, una famiglia nobilissima, ricca di feudi (in un atto di vendita del 1263, a detta di uno storico, si elencano beni loro, con una pergamena lunga qualche metro e larga 60 cm.). (C'è da sperare scritta in calligrafia piuttosta grande!) Inoltre la loro fedeltà per gli imperatori (passato il periodo delle lotte imperiali, in cui furono invece avversari di questi), fu grande e degna di ogni ricompensa.

Quattro sono i diplomi concessi per il diritto di zecca:

Uno da Ferdinando II (Vienna 16 Luglio 1622, due da Ferdinando III, uno a Giacomo Mandello nel 1637, e l'altro a Giovanni Francesco Mandello nel 1646, uno da Leopoldo Primo (Vienna 26 Luglio 1659).

Due furono i Mandello che batterono moneta: Giacomo III e Giov. Franc. Maria.

Il 1° Febbraio 1624, Giac. Mandello allegava (come si soleva allora) ad un certo Pellegrino Vanni, l'esercizio della propria zecca. Il contratto era formato di 12 capitoli, da cui si rileva che il Vanni pigliava la zecca in affitto per sette anni, pagando 900 ducatoni all'anno in tre rate, con l'obbligo di restituire gli utensili in buono stato. Il parlare di utensili già esistenti e di affitto di zecca ci fa supporre che questa funzionasse già da qualche anno. Osservazione non inutile poichè monete di Maccagno furono battute prima e dopo di quest'epoca, fuori sede; certo per maggiore risparmio. Infatti alcune monete hanno molta analogia con monete di altri principi e si ritengono coniate nelle zecche di costoro. Non solo, qualche moneta, per quanto qualcuno lo escluda, sembra sia stata battuta all'estero, a Zurigo e a Lucerna. Le monete oggi rimaste sono rarità disseminate nei musei o in collezioni private, parecchie si trovano oltr'Alpe. Il conte concedeva al Vanni di battere doppie, ducatoni, alla bontà e peso delle zecche dei potentati d'Italia; ongari, alla bontà e peso di quelli dell'Imperatore, pagando il 2%; una moneta d'oro di 12 carati del peso di due denari e 18 grani, pagando il 3 % ; talleri di 2 onze e di una onza pagando l'1%, e testoni e lire pagando il 3%. Oggi i tipi da noi conosciuti sono circa una settantina, vanno dall'ongaro al ducato d'oro, alla doppia, al tallero, al sesino, al quattrino; (quest'ultimi due non sembrano essere stati battuti nella zecca di Maccagno).

Il sesto capitolo del contratto col Vanni obbligava costui ad incidere sulle monete il nome del conte e della contessa con le armi della famiglia (... come meglio credesse). Alcuni articoli sono poi interessanti per lo studio del carattere dell'ambiente locale. L'ottavo articolo dice - che non possi tenere in detta zecca persone non cattoliche - l'11°: (Lo zecchiere e gli operai avranno facoltà di portare armi proibite o no per tutta la giurisdizione di qualunque ora); il 12" assicurava allo zecchiere l'immunità dei suoi beni e delle cose poste in zecca per qualsiasi ragione, salvo per debiti. Non so se il Vanni tenne per un periodo superiore ai sette anni la zecca, e difficile pure resta lo stabilire le monete battute a Maccagno. Molte di esse non portano data. Importante è rilevare le figure e le diciture delle monete. Alcune sono espressione di un forte sentimento religioso; accanto alla figura di Santi, della Vergine, di S. Stefano (protettore di Maccagno Inferiore) si trova scritto:

" Confidens Domino non movetur - Nisi Dominus nobiscum - S. Stephanu prot. Mach. ecc.".

Altre rivolgono un deferente omaggio all'Imperatore. In quasi tutte appare il nome del conte.

Soprattutto ansioso di battere moneta si mostrò Giac. Mandello. Giov.mi Franc. Maria a lui successo, ne battè molto meno di lui. Questi mori nel 1668. I suoi successori, pure riconfermati nel diritto di zecca, non se ne valsero. Da una lettera del luglio 1714 si rileva che l'edificio in cui battevasi moneta era rovinato e senza serramenta, tuttavia incorporato ad altre case esiste ancora, come esiste ancora la roggia che serviva per mettere in moto i magli.

Parlare d'importanza della zecca di Maccagno, fra quelle del suo tempo, è inutile e sarebbe forse anche un fraintenderne il carattere. Non siamo di fronte a valori economici, ma alla riconoscenza di un imperatore verso un fedele vassallo. Tuttavia non dirò come quell'originale studioso di scienze economiche del 1700 che, alludendo alla difficoltà di fare un elenco completo delle zecche italiane, si scusava portando l'esempio che persino in un Maccagno si era battuta moneta. Scherzando, si potrebbe domandare a quel tale se nella ghiotta mente dei numisinatici, Maccagno sia di poca importanza (le sue monete costituiscono una rarità preziosa) o se i Maccagnesi d'allora la pensassero come lui. Tuttavia, anche mettendo la cosa al suo giusto posto, è indiscutibile che non poca gloria ritorna al paese i cui signori ebbero tanti diritti !