I MULINI DI COCQUIO TREVISAGO


Il territorio di Cocquio Trevisago è attraversato dal Bardello e dal Viganella. Su entrambi i corsi d'acqua sorsero numerosi mulini poi trasformati in opifici.

Per quanto riguarda il Bardello, i 'mulini di Cocquio' sorgevano in sponda destra, in "contrada dei mulini", lungo una roggia molinara che correva per oltre 500 mt a fianco del fiume. Erano in numero di cinque e posti allineati lungo la molinara; le ruote erano a palette di ferro, del diametro di 3 mt e larghe 0,45 mt, situate tutte allo stesso livello. Citati la prima volta in un elenco del 1663, le prime notizie certe risalgono al 1722 con proprietario don Pietro Giacomo Alemagna. Il complesso originario aveva tre ruote, una per la macina del grano e due per le macine da mistura; al di là della roggia c'erano una resega, la pesta e la folla.
Presumibilmente la demolizione della chiusa nel 1925 che regolava l'afflusso delle acque del Bardello, fu una delle cause che porto all'abbandono dei mulini.

Scendendo lungo la riva sinistra, in località La Pezza, dove oggi sorge la Cassani, un tempo esisteva un mulino edificato tra il 1780 e il 1786, di proprietà del Seminario Maggiore Arcivescovile di Milano. Nel 1853 il mulino passò a Isidoro Crespi che vi installò una filatura e tessitura di cotone e seta. Nel 1917 si insediò l'attuale ditta Cassani, leader mondiale nella produzione di macchine levigatrici.

La località Madrè, con il suo mulino, dal 1929 fa parte del Comune di Besozzo.

Al Molinazzo, secondo il catasto Teresiano, sorgeva "casa di propria abitazione con mulino di tre rodigini e resiga" di proprietà del conte Marliani. Già nel 1712 " alle volte corre una sol ruota alle volte niente perché alle volte secondo l'acqua che scorre non basta per far andar tutte tre le ruote.." Nel 1803 si installano i De vitto e inizia la trasformazione del mulino in cartiera.

Anche lungo il torrente Viganella i vecchi mulini vennero via via trasformati in nuove industrie (filature, cartiere, oleifici). Restano intatti:

 

Mulino Cilia

mulino Cilia - Cocquio
Foto di Lucini Roberto

Situato superiormente al Mulino Salvini, sul pilastro del fabbricato è incisa la data di costruzione, 1873. Il nome deriva presumibilmente da Nicone Cilia proprietario nel 1858 del terreno su cui sorge. Il mulino, in realtà un frantoio, ha una ruota di ferro del diametro di quattro metri alimentata da sotto.

Mulino Beltramini


"Casa per uso di mulino di tre ruote di Beltramino Michele Q.m Giambattista e Rattazzi Q.m Paolo livellari di Besozzi Cesare" così è descritto nel Catasto Teresiano del 1722. Dell'antico impianto che fino alla fine dell'Ottocento macinava cereali, oggi resta poco o nulla.

Nel 1931, dopo anni di inattività, la famiglia Beltramini decise di riattivare il mulino, restaurando le ruote a cassette di legno, che non potendo funzionare contemporaneamente venivano utilizzate di comune accordo dai fratelli Giacomo e Teresa, alternando la caduta dell'acqua.

Mulino Salvini


Il mulino Salvini sorge sul confine di Cocquio Trevisago a ridosso di Gemonio e si sviluppa attorno a un'antica torre, forse di origine longobarda, in un'architettura spontanea che comprende: l'abitazione del mugnaio, il mulino, una seconda abitazione e due corti immerse nel verde per un'area di circa 500 mq.

Censito nel Catasto Teresiano, nel 1736 era uno dei quindici mulini che costituivano, in questa zona del Varesotto, un vero e proprio “ sistema industriale” capace di utilizzare l'acqua del torrente Viganella come forza motrice. Questo torrente, conosciuto anche come Monvallina perché sfocia nel Lago Maggiore presso Monvalle, forniva l'acqua ai tanti mulini lungo il suo corso facendone girare le ruote che trasferivano forza a macine, seghe, magli e telai.

Museo Salvini

Mulino Salvini


Mulino Salvini
Mulino Salvini

Innocente Salvini nasce in questo mulino il 13 maggio 1889 e qui muore il 23 gennaio 1979. I familiari del pittore per dare una dignitosa e sicura collocazione alle opere dello zio, decidono di trasformare quello che per Salvini era stato luogo di ispirazione e di incontro con i tanti amici artisti, critici e collezionisti, in un museo.

Il primo intervento di riqualificazione della struttura, affidato all'architetto Enrico Marini si conclude nel 1983. Il museo Salvini è inaugurato il 13 maggio dello stesso anno. Un secondo intervento di restauro e ripristino dei macchinari molitori, delle ruote e dei canali è affidato nel 1997 all'architetto Gianni Pozzi. I lavori, resi possibili dalla partecipazione del Museo Salvini al progetto europeo Hidràulic, si concludono nel 1998. Oggi i visitatori e gli studenti che giungono al mulino e alla pinacoteca trovano nella pace e nel silenzio del luogo il respiro del tempo passato e opere pittoriche di valore universale.


Breve Storia del mulino

Situato sul confine tra Cocquio e Gemonio il complesso del mulino non si sviluppa su una base organica progettuale, ma su delle preesistenze.
Presenta il carattere tipico dell' architettura spontanea, cioè l'aggregazione senza un apparente ordine di vari corpi di fabbrica, aggiunti e modificati nel corso degli anni secondo le esigenze produttive e/o abitative.

Nucleo centrale sul quale trova sviluppo l'organico del Mulino sono delle preesistenze di fortificazioni militari medioevali, databili al 1200, delle quali è ancora oggi ravvisabile i resti di una torre inglobata nella struttura, probabilmente residuo di un complesso militare legato ad altre fortificazioni coeve della zona.

Una certa importanza doveva comunque rivestire l'edificio turrito in quanto presenta nella odierna parte terminale tracce di una decorazione in cotto molto semplice ma pur sempre rilevante per la struttura militare in questione, si tratta di una doppia serie di mattoni disposti incrociati a quarantacinque gradi rispetto alle murature, decorazione che appare rilevante se raffrontata al resto della struttura composta in pietre di fiume non lavorate e calcina. Del primitivo gruppo di edifici militari a mio parere e dai primi rilievi, sembrerebbe facciano parte oltre la torre vera e propria anche il portico esistente nella sua parte alta nonché le mura dell'attuale ingresso al mulino e parte delle mura dell' edificio confinante con la strada.

La torre si diceva sembrerebbe legata ad altre fortificazione come la Torre di cui oggi permangono dei resti in località Torre a S. Andrea, e altre zone fortificate verso la cartiera di Besozzo, due punti che se collegati con il Molino in questione formano una retta lungo l'asse Nord; un caso? Non credo. La nostra fortificazione doveva rivestire un certo interesse dal punto di vista sia militare che politico, si colloca in un punto di passaggio obbligato la odierna Statale non esisteva (è una strada Napoleonica) e quella era molto probabilmente l'unica via tra Cocquio e Gemonio. Non certo che i due paesi abbiano mai avuto poi una particolare importanza ma erano comunque due paesi di confine tra due Diocesi e lo sono tuttora) quella di Como (Gemonio) e quella di Milano (Cocquio) allora legate alla rivalità di due potenti famiglie i Torriani e i Visconti. A conferma dell' importanza assunta dal confine si rammenta come a poche centinaia di metri sorgeva (ora non più. Sic!) una altra fortificazione detta il Castellazzo.

Si tratta comunque solo di supposizioni non avallate da fonti documentarie ma rilevabili solo fisicamente.

Solo più tardi avremo però delle fonti documentarie che individuano la fabbrica adibita ad uso di molino con lo sfruttarnento delle acque del Viganella, torrente che divide i due territori di Cocquio, a sinistra e Gemonio a destra.

In un elenco di molini sul Viganella del 1659 troviamo citato: "...Caldana, un mulino a tre ruote cioè una pista et due mole posseduto da Bartolomeo e cugini De Clivii ..." si tratta con molta probabilità di detto mulino in quanto situato sulla sponda sinistra del Viganella. Le fonti documentarie non ci dicono però quale parte del molino attuale essa fosse, sempre che non sia stata in qualche modo distrutta, ci par di ravvisare tuttavia se e lecito far supposizioni che la parte più antica sia verso la ruota attuale situata più a nord, ancora inglobata nelle vestigia delle mura medioevali.

Dobbiamo però aspettare fino al 1726 per averne una descrizione più accurata e una prima mappatura con il catasto di Maria Teresa d' Austria dove nella descrizione che accompagna le carte si legge " molino a trè rodigni due de quali servono per il grano grosso e l'altro per pista in mappa al n° 2... intestato a Brusetti Carlo Francesco e fratello qt.m Gio Battista Liv. Di D. Ignazio Porta ".

Se il molino in questo periodo non sembra aver avuto tra il 1659 e 1726 uno sviluppo particolare (conserva lo stesso numero di ruote adibite alle stesse funzioni) per cui potrebbero essere sorti al più alcuni fabbricati accessori; è con la prima meta dell' ottocento che sembra prendere maggior sviluppo, lo troviamo infatti citato nel Cessato Catasto Lombardo del 1860 come "Molino da grano ad Acqua, pila da orzo a due pistoni ad acqua con casa con porzione della corte al n° 672" ed era definito "Mulino di Rocco" ma accanto ad esso troviamo un altro edificio descritto come "torchio ad acqua con casa e porzione della corte del n° 672".

'Mulino di Rocco' forse perchè in quel periodo il mulino era utilizzato da Jemoli Giuseppe fu Rocco la cui figlia Maria fu prima moglie di Mosé Salvini, padre di Innocente Salvini.

Poi proseguirà il suo sviluppo con probabili aggiunte novecentesche fino a subire con l'industrializzazione la sorte di tutti gli altri mulini della zona giungendo intorno alla metà del '900 all'esaurimento della sua funzione originaria.

Attualmente l'ingresso al mulino avviene da un cancello ligneo situato lungo la via Salvini appena dopo il ponte sul Viganella ed immette in una corte per lo più adibita a prato costeggiante un'ansa del fiume stesso.

La parte di ingresso presenta ancora le tracce di un antico selciato ed ha una discreta pendenza, è da questa prima corte che si accede al mulino- museo. Attraverso un passaggio coperto si passa ad una ulteriore corte dove un cancello in ferro permetteva l'accesso ad un'altra strada ed era in questa corte che si affacciavano le stalle, e la casa di abitazione del complesso più recente, casa, che presenta evidenti i segni di successivi rialzi, evidentemente legati a esigenze abitative. Si può accedere da questa seconda corte ad un prato retrostante fiancheggiante un fabbricato novecentesco in mattoni adibito in parte a museo, prato che a sua volta comunica con lo spazio retrostante dove sono tuttora alloggiate le due ruote esistenti.
E' questo, sicuramente il luogo esterno più suggestivo, carico di ricordi vernacolari, riveste un fascino particolare. Le due ruote erano mosse dall' acqua trasportata attraverso una conduttura artificiale che intercettando a monte le acque del Viganella, e le convogliava fin qui attraverso dei canali in parte in pietra e in parte in legno, a volte persino con tratti sopraelevati, il tutto ancora ben visibile e tuttora regolato da un sistema di chiuse in legno.

La prima ruota era alimentata con caduta dall' alto, l'acqua di recupero insieme all' acqua di esubero andavano ad alimentare l'altra ruota, per scorrere sotto il fabbricato e rigettarsi nel Viganella.

La prima ruota muoveva le macine che sono all' ingresso del Molino, la seconda una sega, è una mola ancora esistenti, anche se non funzionanti. Tutta la struttura e l'apparecchiatura per il funzionamento dei macchinari e in condizioni discrete e facilmente recuperabili, tutta questa parte meccanica è visibile dal museo attraverso un ampia vetrata.

L'accesso al museo avviene attraverso quello che un tempo era il molino vero e proprio e che ancora oggi conserva le macine, i vagli, gli elevatori e gli altri sistemi di trasporto dei prodotti lavorati, si tratta di un locale rettangolare sorto tra le mura dell' antica fortificazione, che tuttora presentano forti andamenti irregolari e forti " fuori piombo ", il locale è in comunicazione oltre che coi locali del museo con l'esterno dove sono allocate le due ruote, con altri locali, per la precisione con il piano terreno della torre, e inoltre con il primo piano di questa e un ulteriore locale, parte superiore di un aggiunta successiva, nonché con il retro tramite due porte.